Vi Presento Serpica Naro, il Media Sociale
Serpica Naro non esiste.
Serpica Naro è l’anagramma di San Precario.
Serpica Naro supera la centralità del trademark: tutti coloro che vi si riconoscono possono parteciparvi.
Serpica Naro afferma un immaginario, una metodologia, un pertugio da attraversare per esprimere produzione sociale e conflittualità.
Serpica Naro è una modalità di relazione, in forma reticolare, continua, completamente aperta.

serpica naro 2005

Tutto questo potrà sembrare un po’ incomprensibile, andiamo quindi con ordine. La contestazione della Settimana della moda era nei nostri cuori e nelle nostre menti da tempo: stavamo solo cercando la chiave giusta per infiltrarci nel suo meccanismo. Chi vive a Milano sa quanto sia difficile non entrare in contatto con questo evento che si ripete, uguale a se stesso, quattro volte l’anno, trascinando con sé le paillettes e le autocelebrazioni di una città sempre più arida e anche un bel po’ di sfruttamento. Un sacco di gente viene arruolata per fare un qualsiasi tipo di lavoro o lavoretto all’interno della kermesse, dove gli orari non esistono e i precari e le precarie si moltiplicano. C’è di tutto, dagli uffici stampa ai montatori, dagli autisti alle truccatrici, arruolati per far funzionare decine di sfilate, gestire i capricci di stilisti e modelle e organizzare il battage che si abbatte in quei giorni sulla stampa e sulla televisione italiana. Ma non si è mai voluto semplicemente denunciare quello che succede in quei giorni a Milano, la capitale della moda italiana: l’obiettivo era uscire dai suoi confini.
Colpire il sistema-moda ha voluto dire colpire la punta di diamante del comparto industriale nostrano che costituisce la più prestigiosa e blasonata proiezione dell’Italia nel mondo. La Settimana della moda è l’evento clou, la vetrina di tutto quello che ruota attorno alla semplice e riduttiva parola “moda”. Le passerelle di Milano sono seconde per importanza mondiale solo a quelle speculari di Parigi. Durante questi appuntamenti sfilano o si presentano i cento stilisti più importanti al mondo fra i quali, o le quali, vengono lanciate le promesse del futuro. In ogni sua edizione la Settimana della moda muove cifre esorbitanti che servono in gran parte a sostenere le spese dell’indotto: i servizi, gli alberghi, la ristorazione, gli allestimenti e la promozione. Con l’operazione Serpica Naro si è voluto sottolineare che durante la kermesse delle sfilate non si vendono vestiti, e in fondo anche le ordinazioni per gli abiti che finiranno nei negozi sono poche. Quello che si vende sono relazioni sociali e stili di vita. In altre parole: prima  ancora di porsi il problema della vendita della merce, l’industria della moda si pone la questione di costruire un ambiente sociale favorevole al consumo. insomma, di allargare il cuore dei consumatori ed entrarvi. La capacità di pervasione sociale del sistema-moda è enorme.

Il fascino che esercita sulle persone fa passare in secondo piano la fagocitazione culturale di cui è motore e protagonista. Basta pensare agli sforzi urbanistici, infrastrutturali, sociali, umani e di investimento che la società sostiene per promuovere questa industria, che sia nel nome dell’arte o dell’enorme quantità di denaro che muove. Solo così si riesce a cancellare quell’idea di frivolezza e inutilità che non è difficile associare al mondo della moda.
Ripartiamo da quello che ci tocca da vicino e di cui subiamo direttamente le conseguenze, cioè la precarizzazione che scaturisce dalle quattro settimane modaiole. Ogni contratto, sempre che ci sia, che viene stipulato con chi ci lavora direttamente e indirettamente è atipico, flessibile e precario. Le condizioni di lavoro, a partire dagli orari e fino alla sicurezza e alle retribuzioni sono in molti casi estremi e spesso disumani.

Nasce Serpica
Serpica Naro è anche e soprattutto una cre/azione di 200 precari e precarie del mondo dello spettacolo, della moda e della comunicazione. Persone che vivono dentro dentro al sistema-moda e che, impossibilitate dall’estrema frammentazione tra i lavoratori e dai meccanismi di ricatto a rivendicare i propri diritti attraverso i metodi classici del sindacato tradizionale, hanno deciso di agire in modo diverso. L’evento Settimana della moda è costruito dai precari; e allora perché non fare in modo che siano i precari a scegliere la forma in cui partecipare? Perché non investire sulle proprie capacità mettendole in comune e condividendole, attivando la cospirazione fra precari? Perché non creare un’agitazione capillare ottenuta grazie alla complicità e alle informazioni in mano ai lavoratori e alle lavoratrici? Perché non salire sulla passerella che si è costruita lavorando fino alle 4 del mattino?

 

Da questo bisogno di agitazione fashion è nato il bisogno di creare un nome che sapesse concretizzare le azioni dei precari. Anagrammando San Precario è uscita, fra le molte combinazioni, quella di Serpica Naro. Ci è parso che questo nome potesse funzionare. Ridendo ci si è chiesti se questa invenzione potesse diventare un luogo di reti di autoproduzioni tessili e di immaginario di contrapposizione alla moda. In un momento di estasi collettiva, forse illuminati dal Santo, ci siamo convinti di poterci inventare il personaggio e inserirlo nel circuito ufficiale Milano Moda Donna, la vetrina mondiale del Prêt-à-Porter.
Nasce Serpica Naro: stilista emergente anglo-nipponica attenta alla moda della strada. Genio prorompente dai tratti distintivi, effervescenti, eclettici. Serpica Naro non ha attaccato semplicemente il senso della Settimana della moda, ma si è scagliata anche contro un luogo ad alto contenuto ideologico come il centro commerciale: una struttura formale attraverso la quale si propaganda e si favorisce un’organizzazione sociale fondata sul consumo futile e reiterato, su immaginari funzionali a valori come la competizione, l’atomizzazione degli individui e il superfluo. E proprio come il problema del centro commerciale non è costituito dalla merce che contiene, la Settimana della moda non è fatta dai vestiti che vengono presentati. Il sistema-moda è sì un’industria tessile, ma è soprattutto un’industria di comunicazione ed elaborazione delle informazioni, della cultura, delle relazioni e degli stili di vita. Per comunicazione si intende un livello d’ordine superiore al potere mediatico, che utilizza quest’ultimo in modo lobbistico e spudorato, ma che incide sul sociale, sui territori e sui comportamenti di ognuno di noi in modo molto più profondo e radicato. Per questo motivo pensiamo non ci sia molta differenza fra la Settimana della moda, un centro commerciale, il gran premio di Monza o la più grande fiera europea di Rho e Pero.

Detto questo, non è stata proprio una banalità riuscire a organizzare la sfilata di un astro nascente della moda dotato di negozi, sito internet e articoli di giornale, ma per i precari abituati a destreggiarsi fra mille avversità nulla è impossibile. Nel gennaio 2005 Serpica Naro ha presentato il suo book con la sua produzione artistica e stilistica alla Camera della moda – severissimo organo ufficiale deputato alla selezione delle nuove proposte in occasione dell’edizione invernale della Settimana della Moda Donna milanese – superando il vaglio di una commissione tecnica e stilistica e guadagnando l’iscrizione nel calendario principale. Le capacità di intelligence dei precari e una buona dose di culo hanno permesso di espletare correttamente ogni formalità burocratica senza insospettire le gerarchie del sistema-moda. Dopo una decina di giorni la Camera della moda ha comunicato agli uffici giapponesi di Serpica l’avvenuta iscrizione. Nella folta schiera di nomi e marchi internazionali che, come di consuetudine, si presentano alla celeberrima Settimana della moda meneghina ora figurava un’emergente stilista anglo-nipponica di nome Serpica Naro. I precari e le precarie erano dentro a una delle kermesse più esclusive del Prêt-à-Porter.

Ma Serpica Naro non esiste, Serpica Naro è l’anagramma di San Precario, Serpica Naro è la creazione delle precarie e dei precari dello spettacolo, della moda e della comunicazione che hanno deciso di agire e cospirare attraverso una fitta rete di relazioni, striscianti e silenziose, salvaguardando il loro anonimato sul posto di lavoro e coinvolgendo un numero inaspettato di persone nella progettazione della grande cospirazione precaria. Idee, fantasie, capacità, competenze e informazioni si sono miscelate per dare scacco al sistema-moda. Il tutto sfruttando l’estrema superficialità e prevedibilità dei media, che hanno abboccato alla contrapposizione fittizia creata fra San Precario e Serpica Naro (nessuno ha notato la somiglianza tra i nomi?!), fintamente accusata di essere una spregiudicata arrivista che succhia la linfa dei movimenti sociali e della moda della strada. Infatti Serpica aveva offerto 15.000 euro per far sfilare i suoi capi all’interno del centro sociale Pergola, nel quartiere trendy dell’Isola. Questo fatto ha creato una forte attenzione, anche in termini di ordine pubblico, per l’evento fashion durante il quale la giovane stilista avrebbe presentato la sua collezione. Insomma, la sfilata di Serpica Naro, spostata in un tendone su un cavalcavia per ribadire la sua vicinanza paracula al mondo della strada, è diventata l’attrazione principale tra i giovani stilisti della Settimana della moda primavera/estate 2005. Si sono presentati a frotte giornalisti, importanti personaggi dei rotocalchi nostrani e la celere: tutti intenzionati a difendere il sistema-moda dai barbari No Global devoti di San Precario che volevano contestare una giovane stilista esordiente impedendole di sfilare. O perlomeno a scattare la foto delle contestazioni, che si preannunciavano violente e mediaticamente gustose: i No Global contro una stilista, troppo bello! Be’, la sfilata c’è stata, ed era più fashion e più divertente di tutte le altre. Ma Serpica – che non è apparsa di persona – ha presentato otto modelli allegorici, disegnati per rappresentare le infinite umiliazioni che la precarizzazione ci impone. E a seguire sono sfilati sulla passerella i modelli delle autoproduzioni europee e italiane che non si riconoscono nel mondo fashion, nei suoi stili e nelle sue logiche, e che sono state la ricchezza dell’intera operazione Serpica.

E i media hanno avuto di che parlare, anche se nessun No Global ha contestato la Settimana della moda. A partire dal giorno successivo i giornali di tutto il mondo (da Le Monde a La Jornada di Città del Messico a molte altre testate tedesche, cinesi, giapponesi, cilene) hanno sottolineato la beffa al sistema-moda-Italia. Tuttavia, pochi di loro hanno capito come, attraverso questo meccanismo, molti precari e precarie avessero percepito la possibilità di esercitare conflitto anche in condizioni di forte esposizione al ricatto. Le principali testate ed emittenti televisive italiane hanno parlato di Serpica Naro e non degli affermati stilisti che hanno sfilato lo stesso giorno. In pochi però si sono avventurati a guardare oltre allo scherzo interessandosi alle reali intenzioni e obiettivi dell’operazione Serpica Naro. Solo alcuni brand e la Camera della moda hanno, forse, percepito le conseguenze più intime di ciò che era successo: a forza di flessibilizzare era venuta meno la fedeltà alle logiche e agli obiettivi delle imprese, e fra i lavoratori e le lavoratrici si erano create le condizioni affinché si tessessero nuove complicità e nuove relazioni, questa volta in chiave antiaziendale. Un virus terribile per chi propugna atomizzazione, frammentazione e individualizzazione di ogni rapporto sociale e lavorativo.
Nel febbraio 2005 avevamo messo in moto un fenomeno di precarizzazione dei precarizzatori attraverso una spersonalizzazione del conflitto e una riformulazione dei saperi e delle informazioni in chiave precaria. Un po’ come ci hanno insegnato loro. Un po’ come abbiamo sperimentato sulla nostra pelle.

Serpica Naro è un meta-brand.
Serpica Naro è un luogo dove si incontrano immaginari, autoproduzione, creatività, stile e radicalità.
Serpica Naro è produzione autonoma di senso e di simboli, è un metodo di condivisione, apertura pubblica dei codici, liberazione e messa in rete di competenze e intelligenze.
Serpica Naro come meta-brand è la risposta con la quale abbiamo dichiarato chiusa la Settimana della moda e aperta la stagione della cospirazione precaria.

Istruzioni per inventarsi una stilista precaria
Per presentare una nuova stilista alla Camera della moda abbiamo dovuto sottoporci al giudizio di una commissione fornendo: una collezione di capi, una lista dei buyers, cioè dei negozi che vendevano vestiti di Serpica, delle recensioni di riviste specializzate, il numero della registrazione del marchio, la partita Iva della società con sede di riferimento e 1850 euro di iscrizione alla Camera della moda. Avevamo poi bisogno di uno stile credibile, di un book altrettanto credibile, di  un sito adeguato, di un ufficio stampa (che Serpica aveva fra Milano, Bologna, Tokyo e Londra), di un uomo all’Havana, che nel nostro caso era Tokyo, e di tantissimo aiuto da chi in questo settore lavorava. Tanto per cominciare ci siamo letti la “Storia della moda XVIII-XX secolo” di Enrica Morini, abbiamo studiato gli atti del Convegno dei giovani e la moda dell’agenzia ad_mirabilia, informandoci attraverso i precari e le precarie che lavorano nelle redazioni dei giornali di settore. Poi ci siamo spremuti i neuroni, abbiamo coinvolto sempre più persone, inventando senza pudore e sfruttando la contrapposizione fittizia Serpica Naro/San Precario. Ma in pochi giorni siamo riusciti a creare Serpica Naro.

Il suo logo sarebbe dovuto diventare un meta-marchio per dare propulsione alla rete di autoproduzioni con cui eravamo in contatto. Abbiamo quindi coinvolto chi vicino a noi si occupa di produzioni tessili dal basso, che a sua volta ha messo in moto un meccanismo di rete che è arrivato fino alla Catalogna e a Londra, raccogliendo la collaborazione di Yo Mango (nota: www.yomango.net) e degli attivisti della Conscious Fashion Week. Intanto abbiamo registrato www.settimanadellamoda.it, un sito generico di informazioni modaiole gestito da una redazione stylish pensata ad hoc da noi e lo abbiamo riempito di notizie di seconda mano ottenute attraverso i contatti con le lavoratrici delle redazioni fashion. La missione redazionale del sito era quella di lanciare i giovani stilisti, ossia le speranze di un futuro economicamente rigoglioso del sistema-moda. Il sito era il nostro trampolino per parlare in modo trasversale delle imprese della nostra Serpica. Fra tutti i giovani stilisti, settimanadellamoda.it ha infatti seguito con particolare attenzione le idee e le esternazioni della nostra giovane pupilla. Il sito aveva un’area riservata ai giornalisti, che potevano contattarci e iscriversi sperando di ottenere le informazioni riservate che promettevamo. Il primo giornalista che si è registrato era di Libero, la seconda di Donna Moderna e così via. Ci stavano cascando. Nel frattempo occorreva organizzare la presentazione/sfilata. Abbiamo affittato un tendone e scelto il posto dove metterlo: il Cavalcavia Bussa. Grazie ai lavoratori della Settimana della moda abbiamo costruito un allestimento degno di questo nome a budget zero o quasi.

E poi c’era la questione cruciale dell’agitazione fra i precari e le precarie, che, accantonata fino a qualche giorno prima dell’inizio di tutto, è diventata impellente all’avvicinarsi dell’evento. Dovevamo pubblicizzarla e darle impulso. Così abbiamo aperto una sezione nei siti internet delle situazioni a noi vicine e mandato uno spot su Radiopopolare, che rimandava ai Punti San Precario. Abbiamo distribuito immaginette del Santo fra i lavoratori delle sfilate infiltrandoci dietro le quinte e diffondendo capillarmente il materiale e gli appuntamenti, anche grazie alla complicità dei lavoratori stessi, che spesso erano agenti di Serpica sotto copertura. Il movimento queer milanese, grazie alle sue reti e alle sue liste pink, ha cominciato a diffondere la notizia della presentazione di Serpica Naro spiegando che questa stilista si era già messa in cattiva luce nel 2001 in occasione di una collaborazione col movimento gay e lesbo giapponese, e che andava sputtanata definitivamente.

Lunedì 21 febbraio, terzo giorno di modaiolità, il Santo è apparso all’entrata della sfilata di Prada per denunciare la precarizzazione dei lavoratori della moda e dello spettacolo. Poi ha cominciato a circolare un comunicato dei precari e delle precarie, che attaccavano la Settimana della moda denunciando alcuni stilisti di atteggiamenti vampireschi verso il sociale, le nostre comunità e i nostri quartieri. Tra i destinatari c’era naturalmente anche Serpica Naro, accusata di scopiazzare le tendenze e gli stili della strada e di fregare senza pietà le idee dei movimenti gay e lesbo e degli attivisti sociali. Giovedì 24 febbraio i devoti del Santo sono comparsi, grazie a forti complicità precarie, sulla passerella della sfilata di Laura Biagiotti allestita al teatro Piccolo, denunciando il peggioramento delle nostre condizioni di lavoro e dichiarando che a quella dimostrazione comunicativa e simbolica ne sarebbe seguita una molto meno dimostrativa alla sfilata di Serpica Naro del sabato seguente. Fra i lavoratori della Scala in agitazione abbiamo distribuito volantini e santini cercando di instaurare il numero maggiore di relazioni e collaborazioni.

Certo, in quei giorni Serpica Naro non è stata zitta. Anzi, ha collezionato non capi, ma dichiarazioni nazional-padane tutte volte a esaltare il proprio total design e la propria arte dimostrandosi intollerante e spocchiosa verso il popolino da lei utilizzato come fonte di ispirazione. Insensibile alle lamentele rivolte ai suoi atteggiamenti spregiudicati Serpica stava riuscendo a innervosire in maniera crescente vaste aree sociali di Milano, attirandosi sopra a tutti gli strali di San Precario in persona. Nella sua ultima dichiarazione la giovane stilista affermava di essere scocciata da una Milano soffocata da burocrazia e comunisti, che non avrà mai la possibilità di riguadagnare l’antico splendore.
Nel frattempo però bisognava confezionare gli abiti da far sfilare sulla passerella. Decine e decine di persone hanno lavorato alla preparazione dei capi e del contesto spettacolare in cui farli sfilare. La notte di Serpica Naro, prima delle produzioni di chi lavora come precario del textil design ma si sottrae ai circuiti ufficiali della moda, davanti ai giornalisti accorsi a vedere la controversa stilista giapponese contestata dai cattivoni No Global si è aperta una sfilata di otto abiti che rappresentano alcuni aspetti della precarietà.

Gli abiti della sfilata

1. Se 60 giorni vi sembran pochi

60 giorni serpica naro
Contract me! Rape me! Pagamenti a 30 – 60 – 90 giorni… eh sì, sono lunghi da passare, ma sono solo brevi attimi per i fuggevoli contratti a termine. Ora puoi terminare ogni giorno in modo spiritoso, spogliandoti delle 24 ore appena trascorse, 30 – 60 – 90 cambi, come una mutevole pelle di serpente…

2. Tutta T job on call

tutta t serpica naro
Your teddy bear is cheap! Sleep with a clerk, is better! Hai finito il secondo turno e sei pronto a posare la testa sul cuscino? Driiin! È il job on call, entusiasmante novità della legge 30, altrimenti detta Legge Biagi! Ma non avrai problemi con la meravigliosa TUTTA T double face: da un lato è un irriverente pigiama per le tue notti insonni ma dall’altro, attenzione! È una tuta blu mai demodè. Ah, il telefono, la tua vita… Salta giù dal letto e rovescia la tua Tutta T! Smile! Mio caro sei on! modello Tutta T job on call.

3. Mouse trap

mouse trap serpica naro
Mata Hari kicks ass! Una mano morta è solo il Prêt-à-Porter di una sessualità deviata, ma tu puoi deviarla verso una morsa di metallo! È lo style più in, quando le avances sessuali del capo struttura si fanno pesanti…

4. Mobbing style

mobbing style serpica naro
Puppetts killer, pink up your stress! Timida Butterfly delle fotocopie, tenera talpa degli archivi dimenticati! Suor maltrattata da tutti! Leva le tue mani e stringi le tue unghie glitterate sui pupazzetti antistress delle apposite tasche marsupio. Dimentica la precarietà, dimentica le sopraffazioni, grazie a questo stupendo abito lo sfruttamento si accompagna al sorriso sulle labbra. È meglio di una partita di squash!

5. Pregnant lady

pregnant lady serpica naro
A baby is more fashionable than a fox terrier! Il tuo stato di futura mamma è un piccolo segreto che è meglio nascondere al capo del personale, un piccolo, sporco segreto come quella illegale letterina di licenziamento che hai dovuto firmare? Niente di più comodo di una elegante pancera nascosta. La tua intimità, il tuo essere visceralmente donna!

6. Call Donald / Mac Center

cal donald mc center serpica naro
Fried the world and connect your fashion attitude! Dalle nove alle cinque: sei una happy call donald partner. Tu, decisa ragazza con i numeri per diventare dipendente del mese! L’unto delle friggitrici, le piastre roventi, ma tu, protagonista, davanti alla cassa! E magicamente… five to midnight: diventi la cool mac center lady. Tu, connessa in teleudienza perenne col mondo, tu, la cortesia fatta persona anche se la tua vita non vede un futuro, tu, che metti il cliente prima di tutto, per basso che possa essere il tuo stipendio, tu, libellula tra gli infiniti canneti della rete urbana! Ninfa del fisso più provvigioni!

7. Bisex tenderness

bisex tenderness serpica naro
Pantacollant is over! Your gender is over! Un caldo collo di pelliccia diventa una folta capigliatura da vamp. Effervescente trasformista, gioca col capo del personale! Cercano un uomo? Semplice: il bordo di pelo del taschino diventa un fiero paio di baffi! Un confortevole cappotto per quando il tuo genere sessuale non è conforme alle richieste del mercato del lavoro!

8. L’immancabile Abito da sposa

abito da sposa serpica naro
Husbands prefer blondes romenians! Quel piccolo pezzo di carta è irraggiungibile? Quella agognata intestazione che recita “permesso di soggiorno” ti fa palpitare il cuore proprio come l’amore? Allora accalappia il tuo maritino con cittadinanza italiana: è una delle pochissime possibilità che la ultra libertaria legge Bossi Fini ti concede! E stringi i denti: essere costretta a imparare a far le lasagne come la mamma è la tua unica chance per uscire dal lavoro nero!

Si spengono le luci della ribalta. Si spengono?
Dopo la sfilata di Serpica Naro in molti ci hanno chiesto dove poter acquistare i suoi capi. Era chiaramente una fascinazione un po’ glamour dovuta all’operazione che aveva portato alla nascita della stilista, ma anche una voglia di uscire dal seriale e dall’angoscia di essere universalmente griffati, per riappropriarsi invece di uno stile più personale, più etico e “pulito” senza per forza intubarsi in sacchi di juta solidali. Quello che la gente stava cercando era un luogo in cui poter trovare abiti più liberi dallo sfruttamento, perché prodotti da piccoli artigiani non incastrati nelle maglie dell’industria della moda. Un luogo in cui scambi liberi e no profit, sia di abiti che di idee, fossero favoriti e incoraggiati. Uno stile che permettesse loro di riconoscersi ed entrare in contatto con una rete di relazioni segnate dal protagonismo precario.
Serpica Naro ha rappresentato tutto ciò facendo breccia nella società grazie alla sua natura di media sociale. Partivamo dalla constatazione che la comunicazione è un campo strategico del conflitto, e l’esperienza ci ha dimostrato che il media mainstream che tutti conosciamo non basta più. Il media sociale – Serpica Naro come San Precario – è la forma di comunicazione che nasce dal partecip/attivismo dei precari e non è riconducibile alla riproduzione della merce. È in grado di rappresentare i precari e le precarie e di costituire, allo stesso tempo, una forma di cospirazione non riassumibile e rielaborabile dagli strumenti della produzione neoliberista. Il media sociale sovrasta il media mainstream, poiché appare come qualcosa di non omologabile e non riducibile al profitto, e così diventa uno strumento per innestare nuovi valori all’interno di quelli dominanti. Serpica Naro, nata come brand creato a tavolino come tutti gli altri, si è rivelata essere l’opposto: un meta-brand nato da relazioni reali che si sono autorappresentate in lei producendo per chi lo produceva un valore da reincanalare nel sociale.

 

Il brand indica il logo, la marca, ma spesso si sovrappone al prodotto stesso fino a legarsi a “uno stile di vita” e superare il prodotto stesso. Invece Serpica Naro è un meta-brand, un metodo di condivisione, un’apertura pubblica dei codici, una liberazione e messa in rete di competenze e intelligenze. Il meta-brand non è un marchio diverso da quelli esistenti, ma un metodo, un processo, una cospirazione. Il meta-brand innesca un circolo virtuoso che nasce dalla costruzione di un brand a partire da valori e immaginari incarnati dalla complicità precaria. Il suo valore è redistribuito immediatamente grazie alla forza delle relazioni e delle conoscenze tra creativi, produttori e venditori. Serpica Naro è un’idea di riqualificazione del sociale e di valorizzazione delle relazioni che vi si instaurano. Nasce appunto dal sociale, al contrario del brand che invece lo saccheggia con lo scopo di ridefinirlo a seconda delle necessità del consumo. Un media sociale restituisce al sociale ciò che gli appartiene: anime e idee, corpi e relazioni.

Il media sociale Serpica Naro non si è fermato con la sfilata del 26 febbraio 2005, ma ha continuato il suo cammino. Innanzitutto si è liberato del suo marchio, che era stato registrato per partecipare ufficialmente alla Settimana della moda. Avere un marchio registrato si scontrava infatti con le caratteristiche di un metabrand che per sua natura pone l’accento sulle relazioni e sulla condivisione. Nel febbraio del 2006 è stata scritta una licenza che ha sancito la liberazione del marchio serpico. Per Serpica Naro, licenziare il marchio ha voluto dire condividere tutti i diritti che la legge riserva al proprietario del marchio stesso. Il vero proprietario di un processo sociale è la collettività che sa condividere i saperi e, attraverso questo metodo, riesce a fare breccia nell’istituzione della precarietà. Serpica Naro ha sempre fatto riferimento alla comunità hacker che ha dato vita all’esperienza del free software come metodo per la liberazione dei saperi che sfrutta le caratteristiche della licenza Gpl. Ma una maglietta non è un software! Dovevamo elaborare una licenza che tenesse in considerazione il problema della libertà di un prodotto materiale. Il marchio registrato si differenzia sia dal brevetto che dal copyright, pur essendo parte integrante delle leggi sulla proprietà intellettuale.

Il passaggio da lavoro immateriale a produzione reale ci ha imposto di prendere in considerazione da un lato la produzione in serie e dall’altro il rapporto tra produzione libera e autonoma e produzione industriale. Infatti, ciò che volevamo valorizzare tramite il brand Serpica Naro non era il capo di uno stilista affermato, ma la viralità dei meccanismi di partecipazione nei processi sociali. Serpica Naro è un meta-brand! Per questo motivo la licenza è stata scritta ex-novo prendendo spunto dalle idee e dall’esperienza di Creative Commons.
Serpica ha messo in condivisione la creatività e l’abilità dei precari e delle precarie, ma anche la decisione di non fare uso di pratiche di sfruttamento lavorativo nella catena produttiva/distributiva e di reinnestare nel sociale il valore che produce. Le prime esperienza a cui Serpica Naro ha fatto riferimento sono state le autoproduzioni tessili e di abbigliamento, che possono diventare l’espressione del suo brand.
Attenzione però: l’operazione Serpica Naro deve essere interpretata correttamente, in tutta la sua complessità. Serpica Naro è stata possibile grazie al coinvolgimento di un numero altissimo di precari e creative. È questo il punto fondamentale. Siamo noi che produciamo immaginari, cultura, conflitto e radicalità partendo da noi, dai nostri desideri, dalla nostra condizione di lavoro e di vita e dalla rabbia che inevitabilmente scaturisce dalla miseria sociale che ci ingloba. Questo sì che ci interessa, altro che beffa alla Settimana della moda. A ognuno i propri immaginari.